31.10.13

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 Galleria immagini
Tara sotto la neve

Planet Ocean in Italia

Si informa che la prossima proiezione 
del film documentario Planet Ocean 
di Yann Arthus-Bertrand e Michael Pitiot 
si terrà il prossimo venerdì 8 novembre 2013, 
presso il teatro dell'I.I.S. “Ciuffelli-Einaudi” di Todi.



30.10.13

40 nodi di vento… e un enorme frangente


Copyright: V.Hilaire/Tara Expéditions




A 300 miglia dallo Stretto di Belle Isle, l’entrata a nord del fiume San Lorenzo, incassiamo un colpo da 40 nodi di vento ben sostenuto. L’imbarcazione accusa il colpo; all’interno di Tara, il pasto è allegro e si ha un’idea molto vaga della forza del vento.



Certo, di tanto in tanto, un colpo di vento indistinto si scagliava contro i vetri bombati della goletta, una sbandata faceva sì che ognuno si tenesse ben stretto il proprio bicchiere, ma nel complesso tutto era calmo all’interno. Sulla plancia, per contro, si agitava un mare infuriato, sbiancato da un vento a 40 nodi. Il mare è ordinato, cosa che facilita il passaggio dell’imbarcazione che beccheggia molto poco e scivola tra le onde; veniamo rivoltati solo da qualche grosso frangente in vena di scherzi. Tutto sembra facile per questa imbarcazione avvezza alle condizioni più estreme: pare indistruttibile e fila a dieci nodi con poca pendenza a mancina. Tara naviga a due vele, con un terzaruolo e la trinchettina… ci asteniamo dal servirci del secondo terzaruolo, per ora il vento soffia a 45 nodi.

Se si vuole andare sul ponte, la forza degli elementi trasformerà la passeggiata in una acrobazia. Nonostante tutto, l’ingegnere Marc Picheral decide di cambiare la seta del CPR, lo strumento che registra senza sosta la presenza di plancton e che viene trainato sul retro dell’imbarcazione da quando abbiamo lasciato Nuuk. 
Là fuori è una guerra: i marinai urlano per farsi sentire, volano gli spruzzi delle onde, e il mare dietro di noi è una scia fumante.

La nostra prima sfida è rientrare nel San Lorenzo prima che un vento da sud-ovest previsto per il primo novembre si abbatta su di noi. Tutte le miglia guadagnate verso sud sono un passo in avanti e a questa velocità ce la faremo.

Alcuni pensano che in mare non ci sia niente da fare, eppure le giornate scorrono molto veloci.
Siamo sempre all’erta nel tentativo di identificare ogni rumore, ogni movimento dell’imbarcazione. Scrutiamo il mare cercando di capire se la sua forza scemerà o accrescerà, se le vele sono ben regolate, se la velocità corrisponde all’andatura. Certamente ci aiutano un sacco di strumenti elettronici, schede meteo che ci informano sulla forza e la direzione del vento ogni tre ore. Martin Hertau, il capitano, è molto attento all'imbarcazione e al suo equipaggio. Non smette di andare e venire, tutto concentrato nel suo lavoro…

All'improvviso, un bel po’ di tempo dopo la cena, quando tutti stavano già dormendo, tranne chi era di guardia e Martin, un enorme fracasso ha fatto tremare tutta la barca e ci ha riscosso dal sonno. Tutti si son precipitati in plancia: mentre François Aurat, Vincent Hilaire e Baptiste Régnier verificavano il ponte, Martin lo illuminava. Abbattiamo per calmare il movimento dell’imbarcazione e per non incorrere in inutili rischi. Il colpo è stato molto violento a mancina, pensavo che avessimo urtato contro qualcosa, o che la trinchettina fosse esplosa… sono ancora tutti scossi dalla paura.

Un enorme frangente ha spazzato via il ponte, torcendo la lastra che copre il mulinello, le battagliole, strappando via il supporto di una tanica e srotolando lo yankee che cadendo ha subito dei danni.

La forza del mare è incredibile.
Come ha potuto un’onda torcere una lamiera di 30 gradi?
Come ha potuto staccare via  dall’avvolgitore la fune fissata al suo finecorsa?

Senza dubbio la spedizione non può dirsi finita: il mare può riservarci ancora molte sorprese da qui a Lorient.


Jean Collet

Primo capitano dell’ex Antarctica, oggi ribattezzata Tara. Incaricato della preparazione dell’imbarcazione anche per la spedizione Tara Oceans Polar Circle, condividerà con noi le sue impressioni in questo tratto tra la Groenlandia e Québec.

In mezzo a un banco di globicefali


26.10.13

In vista del traguardo


Eric Karsenti preparando i campioni per l'analisi fisico-chimica.
V.Hilaire/Tara Expéditions


A Ilulissat, in Groenlandia, si è  unito all’attuale spedizione Tara Oceans Polar Circle, Eric Karsenti, nella veste di responsabile scientifico. Ideatore di questa spedizione di raccolta del plancton a livello mondiale iniziata più di quattro anni fa a Lorient, ci parla delle ultime stazioni scientifiche di questa avventura che stanno per concludersi qui nel Mare del Labrador e i lavori in corso sul materiale campionato durante la precedente spedizione Tara Oceans.


- Vincent Hilaire: Abbiamo appena lasciato la Groenlandia e, pochi giorni fa, il Circolo Polare Artico. Tara Oceans Polar Circle entra ora nel rettilineo finale. L’analisi dell’oceano a livello mondiale volge dunque al termine?

- Eric Karsenti: «L’idea generale della spedizione Tara Oceans era quella di caratterizzare la vita in tutti gli oceani del mondo e quindi di vedere quali organismi vi fossero presenti. Ecco perché nella spedizione del 2009-2012 abbiamo attraversato il Mar Mediterraneo, l’Oceano Indiano, l’ Oceano Atlantico meridionale,  l’Antartide, l’equatore, il Pacifico meridionale e la Corrente del Golfo nell’Atlantico settentrionale. Ci rimaneva dunque l’Artico e la regione del Pacifico occidentale.. Al termine di questa indagine (Survey) del Mar Glaciale Artico, ci mancherà solo il Pacifico occidentale.

Questo tour dell’Artico è un nuovo successo, siamo riusciti ad attraversare i due passaggi in tempo. L’Artico è composto da una profonda regione centrale irraggiungibile perché situata sotto la banchisa e di un’altra periferica, che si trova al di sopra della piattaforma continentale.  È quest’ultima che siamo riusciti a campionare, completando così il lavoro iniziato con Tara Oceans.»


- Vincent Hilaire: Che cosa avete cercato di esaminare più precisamente nell’Artico,?

- Eric Karsenti: «Il percorso logico era partire da Lorient, in Francia, e iniziare dalle acque dell’Atlantico settentrionale. Tra Lorient, le Isole Fær Øer, l’Islanda e il bacino islandese fino a Tromso in Norvegia, abbiamo “scansionato” la circolazione oceanica dell’Atlantico settentrionale.

Poi a partire da Murmansk, nella Federazione Russa, abbiamo trovato acque meno profonde e là abbiamo campionato una nuova area di acque atlantiche così come un’altra regione alimentata dalla fusione dell’artico siberiano.

A nord-est, nel mare della Siberia orientale, abbiamo campionato la regione seguente, alimentata dalle acque dello Stretto di Bering provenienti dal Pacifico settentrionale. Molti fiumi importanti come il Mackenzie in Canada o lo Yenisei in Russia si riversano in questo bacino.

Poi abbiamo attraversato il Passaggio di Nord-Ovest, secondo scoglio della spedizione, per sbucare in un’altra regione attorno alla Groenlandia.

Infine, al momento stiamo campionando  l’ultimo spazio oceanico tra la Groenlandia e il Canada, una zona molto importante per la circolazione delle acque profonde. Le acque dell’Atlantico settentrionale si raffreddano qui in  superficie prima di ripartire in profondità per regolare successivamente altre acque, per esempio  quelle dell’Oceano Indiano.

In ognuno di questi bacini abbiamo raccolto acque in superficie e, quando era possibile, in profondità, nello strato mesopelagico a 350 metri circa. In profondità, ci sono masse di acqua dalle caratteristiche molto specifiche, e dunque una vita planctonica molto diversa.


- Vincent Hilaire: Che cosa ci può dire dei risultati di Tara Oceans ? E quando si inizierà a lavorare sui campioni di Tara Oceans Polar Circle ?

- Eric Karsenti: «Durante la spedizione Tara Oceans, abbiamo effettuato 153 stazioni. L’analisi di tutti quei campioni è molto complessa, perché è necessario dare forma a dati oceanografici (studio delle masse d’acqua), all’imaging (composizione di specie e  organismi planctonici) e a dati genomici colossali (sequenziamento di geni). Questo è un prerequisito indispensabile prima di poter capire qualcosa.

Per i dati oceanografici e lo studio della struttura degli  ecosistemi abbiamo organizzato le cose e siamo venuti a capo di tutte queste informazioni. Tutti questi risultati sono memorizzati in un database chiamato Pangea a Brema.

In termini di imaging, un terzo delle analisi sono state effettuate correttamente e sono archiviate a Villefranche sur mer, Dublino e Heidelberg.

La quasi totalità del sequenziamento dei marcatori di specie è stato fatto e  1/3 dei campioni sono stati preparati per ottenere dati metagenomici, ovvero dati relativi alla composizione in geni degli ecosistemi marini planctonici.

È stato raggiunto un accordo con i responsabili della banca dati europea di sequenziamento EBI (European Bioinformatics Institute) che si trova a Cambridge. Il genoscopio di Evry, in Francia, dove si  realizzano tutte le analisi genomiche trasmetterà presto all’EBI i dati del sequenziamento.

Alla fine, tutti i dati oceanografici, di imaging e genomica saranno disponibili presso tale centro.

Per la spedizione in corso Tara Oceans Polar Circle  abbiamo effettuato altre 57 stazioni, per un totale di 210, il loro studio impiegherà ancora molti anni.»


- Vincent Hilaire: Qual è il vantaggio di memorizzare tutti i dati a Cambridge ?

- Eric Karsenti: «L’idea generale di Tara Oceans era di avere prima dei dati integrati e complessi per descrivere gli ecosistemi marini. Per raggiungere questo campionamento a livello mondiale, è stato necessario inserire i dati in una forma utilizzabile per eseguire analisi statistiche. EBI è la migliore struttura in grado di compiere questa missione al giorno d’oggi.

Questo «super server» è accessibile a tutti gli scienziati che desiderino informazioni, è per quello che noi siamo impegnati nel progetto Oceanomics finanziato in Francia  grazie al Grand Emprunt*.


Intervista a cura di Vincent Hilaire


*Grand Emprunt: sta per “grande prestito” ed è  il pacchetto di investimenti voluto dal presidente Sarkozy a sostegno della  formazione, la ricerca di base e di alcuni precisi settori di sviluppo tecnologico.

25.10.13

Fine della parentesi groenlandese


Vista dal mare di Nuuk, capitale della Groenlandia.
V.Hilaire/Tara Expéditions




Stamattina Tara e i quattordici membri del suo equipaggio hanno lasciato Nuuk, e quindi anche la stessa Groenlandia. Venti giorni abbiamo trascorso lungo la costa ovest di questa isola bianca e gelata, tra Uummannaq, Ilulissat, e Nuuk, la sua capitale. Lasciamo le terre degli Inuit, un popolo entrato in una rapida fase di cambiamenti.



Delle poche ore trascorse a Nuuk, conserverò il ricordo di uno choc. Primo perché è la prima volta che rimettiamo piede in una vera e propria città. Dopo il mio imbarco a Pevek (Čukotka, Federazione Russa) quasi due mesi fa, abbiamo fatto scalo solo in insediamenti e piccoli villaggi. Il passaggio del Nord-Ovest è un gran villaggio con pochi abitanti per chilometro quadrato!

Ciascun villaggio ha la sua storia, pochi abitanti, Inuit con origini diverse e varie, e poche cose in comune: l’aerodromo, l’ufficio postale e l’ufficio del sindaco.

A Nuuk ho le vertigini. Zone e centri commerciali con vetrate molto più glaciali dello stesso vento di borea. L’attività di una città con il suo traffico stradale, i suoi pedoni, i suoi bar e i suoi negozi... Oggi, qui, abbiamo ritrovato la civiltà occidentale dei nostri giorni.

Poi abbiamo levato le ancore. Tara fa ora rotta a sud-ovest verso il centro del Mare del Labrador dove verosimilmente faremo un’ultima sosta, l’ultima stazione scientifica di lunga durata per Tara Oceans Polar Circle.

Evento che ha risvegliato in Eric Karsenti, nostro responsabile scientifico e ispiratore di questo folle progetto iniziato a settembre 2009, una vena umoristica: «È giunta l’ora della fine!». Un’osservazione fatta come sempre in uno scoppio di risa!


Vincent Hilaire



22.10.13

Tara è entrata nello Stretto di Davis


Marc Picheral accanto alla rosetta. V.Hilaire/Tara Expéditions



Dopo la partenza da Ilulissat, abbiamo effettuato una prima stazione di prelevamenti nella Baia di Disko. Siamo ormai in rotta verso sud.  Stanotte passeremo il circolo polare artico e i suoi 66°33’ Nord. Una pagina che voltiamo dopo cinque mesi di spedizione trascorsi principalmente a nord di questa linea.




Un mare liscio come l’olio, un gran sole, niente vento e temperature leggermente sopra lo zero, la discesa verso sud costeggiando il litorale ovest della Groenlandia si sta svolgendo in buone condizioni climatiche. La nostra prossima “fermata” in mare è prevista per mercoledì quando effettueremo una stazione scientifica di lunga durata, ovvero per più di 24 ore. Oggi, l’équipe scientifica ha effettuato la manutenzione del materiale e un campionamento “underway”. Le pompe dell’acqua di mare che attraversano lo scafo di Tara consentono anche di campionare le acque durante la navigazione senza necessità di fermarsi.

Dopo l’uscita dalla Baia di Disko, siamo entrati subito nello Stretto di Davis, via di uscita dall’Artico prima di ritrovare il Mare del Labrador. Questo mare è il prolungamento dell’Oceano Atlantico, tra il Labrador e la Groenlandia.

Venti forti sono previsti a fine settimana e Martin Hertau, il nostro ”nuovo” capitano che ha preso il testimone di Loïc Vallette, prevede di “rintanarsi” nei pressi di Nuuk, cittadina capoluogo della Groenlandia, qualora incontrassimo qualche repentina tempesta. È la città più popolata dell’isola con 16.181 abitanti nel 2012 su un totale di 56.749. Nuuk è situata a circa 240 chilometri dal circolo artico e il suo porto è il più grande di tutto il territorio. Nuuk significa “punta” in groenlandese ed è solo dal 1979 che la capitale si chiama così, prima si chiamava Godthab che significa buona speranza in danese. Nel novembre 2008, i cittadini di Nuuk hanno votato con schiacciante maggioranza a favore di un’indipendenza, la cui richiesta è cresciuta nei confronti del regno di Danimarca.

Tre principali correnti marine attraversano il Mare del Labrador. Una corrente fredda che risale lungo le coste della Groenlandia, un’altra che scende lungo il Labrador e infine una terza di origine atlantica più calda. È quella che la nuova équipe condotta da Eric Karsenti, responsabile scientifico e ideatore di queste spedizioni, intende caratterizzare.


Vincent Hilaire

19.10.13

Tara torna a veleggiare nel Mare di Baffin


Tara e il suo equipaggio lasciano Ilulissat 
(Baia di Disko, Groenlandia). F.Aurat/Tara Expéditions





Sabato, nel primo pomeriggio, abbiamo lasciato il bel porto di Ilulissat (Groenlandia) dopo quattro giorni di scalo. L’equipaggio si compone sempre di quattordici persone, ma ci sono state cinque sostituzioni. Il programma scientifico prevede di effettuare quattro stazioni scientifiche fino a Québec nel Mare di Baffin, e poi  nel Mare del Labrador.

17.10.13

COMUNICATO STAMPA – 17 ottobre 2013



DUE ARTISTI SELEZIONATI DA 89PLUS
IN RESIDENZA A BORDO DI TARA 



Pierre Huyghe e Xavier Veilhan a bordo di Tara in viaggio nell'Antartico, 2005. 
Courtesy: galleria Marian Goodman, New York/ Paris



Dopo aver accolto negli ultimi anni gli artisti Pierre Huyghe, Sebastião Salgado o ancora Xavier Veilhan, Tara (prima Seamaster con Sir Peter Blake) continua la sua missione di sensibilizzazione del grande pubblico invitando a bordo due giovani artisti selezionati da Hans Ulrich Obrist e Simon Castets per 89plus: Alex Dolan e Ho Rui An. Si imbarcheranno a Québec, in Canada, il 12 novembre, nel corso della spedizione Tara Oceans Polar Circle, un tour dell’Artico a scopo scientifico e pedagogico e rimarranno a bordo per 25 giorni fino a Lorient, in Francia. Hanno carta bianca per raccontare la loro esperienza.

- “Utilizzerò il tempo a bordo per riflettere sull’aspetto ambientale dei miei lavori artistici. Mi concentrerò sulla difficoltà di condividere l’obiettivo delle spedizioni scientifiche in generale: raggiungono poco il grande pubblico benché ci riguardino tutti. Ciò è particolarmente vero per quel che concerne il mutamento climatico”. Alex Dolan / artista e curatore di mostre statunitense.

“Non sono esattamente il tipo da barca; questa esperienza mi interessa perché mi dà l’opportunità di confrontarmi con le mie paure e i miei timori di fronte all’immensità del mare. La paura è sempre fonte di creatività; mi auguro quindi che questo viaggio sia produttivo”. Ho Rui An / artista, scrittore e curatore di mostre di Singapore.

Questa residenza di 25 giorni sarà per Tara Expéditions una nuova opportunità di sensibilizzare il pubblico alle tematiche ambientali tramite l’opera degli artisti. Dopo l’acquisto di Tara nel 2003 da parte di Etienne Bourgois e agnès b., numerosi artisti di fama internazionale si sono imbarcati a bordo di Tara durante le nostre spedizioni scientifiche per condurre progetti scientifici che potrete scoprire visitando la nostra galleria: tara-gallery.com.
Fino al rientro della spedizione Tara Oceans Polar Circle, previsto per il 7 dicembre a Lorient (Francia), gli artisti vivranno la quotidianità a bordo con scienziati, marinai e saranno immersi nell’universo multidisciplinare di Tara, nella sua ricerca di sapere sulla biodiversità marina e il suo adattamento rispetto ai cambiamenti climatici. La navigazione transatlantica in pieno mese di novembre promette condizioni metereologiche pesanti che consentiranno loro di rendersi conto delle difficoltà di tale spedizione.

Per 89plus, questa esperienza di residenza si iscrive nell’ambito di uno sforzo teso a rivelare nuovi talenti, nati nel o dopo il 1989, che rappresentano quasi la metà della popolazione mondiale. Tale “sinergia” come la definisce Hans Ulrich Obrist, co-fondatore di 89plus, sarà anche occasione di condividere tale avventura scientifica unica per meglio conoscere il nostro pianeta. 89plus è molto entusiasta di questa residenza mobile e fluttuante che ben illustra gli anni di collaborazione tra Hans Ulrich Obrist e agnès b. su point d'ironie. Un numero speciale di questa pubblicazione gratuita (con una tiratura mondiale di 100.000 copie) è stata dedicata a Tara lo scorso anno, mettendo così in luce il tesoro degli oceani: il plancton. Dal canto suo, agnès b. è molto felice di accogliere di nuovo degli artisti a bordo, persuasa che "tutti i grandi sono stati piccoli".
Non perdetevi questi appuntamenti:

89plus Marathon @ SERPENTINE GALLERY, LONDON
18 e 19 ottobre 2013 http://www.serpentinegallery.org 

- Ritorno della spedizione Tara Oceans Polar Circle e 10 anni di Tara Expéditions @ PARIS

Data da confermarsi in dicembre 2013 con i due artisti, Etienne Bourgois, Hans Ulrich Obrist e tutta l’équipe di Tara

Per seguire la spedizione in diretta: www.taraexpeditions.org

Una foto in HD scattata dagli artisti durante la loro residenza sarà inviata da qui al 15 dicembre 2013

Contatti stampa:

Tara Expéditions: Eloise Fontaine, eloise@taraexpeditions.org e Marc Domingos marc@taraexpeditions.org
89plus: Andrew Elmendorf, andrew@89plus.com


89plus è un progetto internazionale interdisciplinare co-fondato dai curatori Simon Castets e Hans Ulrich Obrist che prende in esame la generazione nata dal 1989 in poi. 89plus realizza conferenze, incontri e mostre, attorno a una generazione la cui voce inizia solamente adesso a farsi sentire, ma che rappresenta quasi la metà della popolazione mondiale.
Segnato da vari avvenimenti importanti, il 1989 è un anno che ha visto la caduta del muro di Berlino e l’avvento del World Wide Web. Credendo nell’ipotesi di una relazione tra questi avvenimenti che cambiarono il mondo e la creazione in senso ampio, 89plus presenta il lavoro di alcuni dei protagonisti più ispirati di questa generazione, www.89plus.com

Tara Expéditions organizza spedizioni scientifiche volte a studiare e comprendere l’impatto dei cambiamenti climatici e della crisi ecologica sui nostri oceani. Iniziativa privata a scopo non lucrativo francese, Tara Expéditions opera dal 2003 a favore dell’ambiente e della ricerca, grazie a un’imbarcazione mitica, Tara, progettata per condizioni estreme. Il progetto è nato dalla passione per gli oceani, da una visione umanista e impegnata dei suoi creatori, agnès b e Etienne Bourgois.

Le spedizioni scientifiche di Tara studiano due argomenti principali: l’oceano e il mutamento climatico. Sono frutto di una collaborazione con istituti scientifici e apportano risultati concreti su tali tematiche. Tara Expéditions agisce concretamente per rafforzare la consapevolezza ambientale del grande pubblico e dei giovani, specie attraverso il progetto Tara Junior, e incita i politici ad agire in ambito ambientale. www.taraexpeditions.org      

CURATORI
Simon Castets è direttore e curatore al Swiss Institute / Contemporary Art, New York, e co-fondatore di 89plus.

Hans Ulrich Obrist è condirettore di mostre e programmi, direttore dei progetti internazionali alle Serpentine Galleries di Londra così come co-fondatore di 89plus.

BIOGRAFIA DEGLI ARTISTI 

Ho Rui An (nato nel 1990, a Singapore) è un artista e scrittore che opera a Londra e a Singapore. Lavora intorno alla nozione  “dell’essere spettatore”, esaminando il ruolo dell’affetto nella nostra vita sociale, culturale ed estetica. I suoi testi, immagini animate e conferenze-spettacolo sono stati presentati in numerosi festival e mostre, tra i quali Sapporo International Short Film Festival (2012), Sintok Singapore Film Festival, Tokyo (2012), Cairo Video Festival (2010) e Singapore Short Cuts (2009).

Alex Dolan (nato nel 1990, negli Stai Uniti) è un artista che opera a Portland, Oregon. Nel suo lavoro si serve di un ampio ventaglio di supporti per esprimere l’influenza dei fattori delle tensioni contemporanee, per esempio, il riscaldamento climatico, la tecnologia climatica, la tecnologia, internet. È co-curatore di Appendix Project Space, e recentemente ha partecipato a delle mostre nell’ambito di vari progetti quali Generation Works, Karma international, Portland Institute for Contemporary Art e, prossimamente, West Lane South.

Per scaricare foto e video esenti da diritti fino al 22 ottobre: http://we.tl/C1NICcYalp


Seguite Tara su sito webfacebooktwitter, iPad e i video su francetv.fr/tara



15.10.13

L'arrivo a Ilulissat


di Romain Troublé, segretario generale di Tara Expéditions


Tara a Ilulissat, sulla costa ovest della Groenlandia.
F.Aurat/Tara Expéditions



Siamo a bordo di Tara al largo della costa ovest della Groenlandia e ci dirigiamo verso un piccolo villaggio chiamato Ilulissat passando attraverso la baia di Disko, classificata come patrimonio mondiale dall'UNESCO. 
Il tempo è stabile e bello e il vento dolce; i nostri sistemi a bordo ci danno come ora di arrivo prevista le 19, giusto poco dopo il calare della sera dandoci tempo per effettuare una stazione di prelevamento prima di cena. 

L'équipe si dà da fare sbrigando i compiti abituali: le e-mail al laboratorio o l’ufficio, le analisi dei dati, la preparazione dei pasti, una breve siesta, la manutenzione della barca e del materiale, in poche parole, tutti sono molto indaffarati... e Tara prosegue la sua rotta in mezzo a maestosi iceberg, enormi, sempre sotto un sole radioso. Il mare, uno specchio.

Verso le 18h, un’ora prima dell’arrivo previsto, incontriamo i primi growler, poi delle zone di ghiacci sufficientemente dense da farci rallentare. Il ghiacciaio Jakobson mantiene le sue promesse: lo sfaldamento ha un ritmo tale che pezzi di ghiaccio, grandi e piccoli, invadono il mare anche lontano dalle coste.

In tempi brevissimi, ci ritroviamo tutti sul ponte poiché i primi ghiacci solleticano, e talvolta scuotono, lo scafo di Tara. Cala la notte, la luna quasi piena si eleva, ci troviamo a 5 miglia dal villaggio di cui percepiamo il chiarore, siamo obbligati a ridurre la velocità per procedere a slalom. Sul tagliamare, un riflettore ci consente di evitare i pezzi più grossi, talvolta alti quanto il ponte di Tara. 

Il capitano Loïc Vallette è ai comandi. Ogni centinaio di metri percorso è incoraggiante benché s’insinua il dubbio sulle capacità di Tara ad aprirsi un varco, e soprattutto quanto alla possibilità di trovare un posto di 40 metri in questo porto così piccolo di barche da pesca.

Avanziamo dunque, la luna è con noi, l’acqua è come uno specchio, i pezzi di ghiaccio, o meglio i loro profili, si stagliano a perdita d’occhio nell’oscurità. È magnifico: un paesaggio lunare con dei toni dal grigio chiaro al grigio scuro. Il freddo del ghiacciaio fa abbassare il termometro di 5 °C, l'atmosfera cambia e un mistero avvolge Tara. Finiamo per percepire un allineamento, poi un altro ed eccoci all’entrata del porto. Il ghiaccio frantumato è ovunque, non si distingue più il mare liquido, ma avanziamo, e un’aurora boreale si mette a danzare nel cielo mentre accostiamo; la parola “magico” non basta per descrivere questi momenti.

Sono le 21h. Abbiamo impiegato due ore per percorrere queste ultime cinque miglia nautiche, siamo ormeggiati sul molo, la cena preparata dalla nostra cuoca Dominique è pronta. L'équipe si mette a tavola, al caldo, all'interno di Tara, ancora emozionata per la magia degli ultimi istanti. Anche questo è l'Artico.


Per me, è un momento molto particolare, avendo perso una cara persona la mattina di martedì 15 ottobre.


Romain Troublé

13.10.13

TARA FESTEGGIA 10 ANNI DI IMPEGNO


DIECI ANNI



Alla fine, è l’oceano a vincere!
di Romain Troublé, segretario generale di Tara Expéditions



Già dieci anni… Dieci anni che Tara Expéditions si impegna a promuovere la salvaguardia dei nostri oceani e quindi del nostro pianeta. Il metodo è singolare nella forma e negli obiettivi. L’iniziativa si articola attorno alle spedizioni di Tara, una goletta di 36 metri. Abbiamo allestito il progetto Tara Expéditions nel 2003, sotto l’impulso di Étienne Bourgois e con il sostegno di agnès b. L’idea originale era quella di servirsi dell’avventura umana vissuta dagli uomini e dalle donne della spedizione a bordo di Tara per interessare il grande pubblico e renderlo consapevole delle poste in gioco e delle sfide poste dal nostro sistema di sviluppo.
Per mettere in discussione il nostro modello di sviluppo e tentare di prevedere al meglio la sua evoluzione a medio e lungo termine, cosa meglio che dare la parola alla scienza, a coloro che stanno a stretto contatto con i limiti delle nostre conoscenze.

In questi dieci anni ne è passata di acqua sotto lo scafo tondo di Tara. Le campagne di alcuni mesi con artisti e scienziati a bordo, dalla Groenlandia all’Antartico, sono servite da prova generale prima del lancio delle ultime tre grandi missioni Tara Arctic (2006- 2008), Tara Oceans (2009-2012) e Tara Oceans Polar Circle (2013) dedicate al clima e alla biodiversità marina.

Al di là delle tante regioni percorse dalla goletta, l’équipe di Tara, o meglio la famiglia Tara, è cresciuta nel corso degli anni. Si è irrobustita, è riuscita a fornire l’eccellenza richiesta, grazie agli scienziati, ai partner pedagogici, ai mecenati e al pubblico. Si è anche ritagliata un piccolo posto nel paesaggio mediatico francese e nella mente dei bambini.

Acqua ma anche passione… Impossibile dimenticarsi la passione che ha animato la spedizione Tara Oceans nei due anni e mezzo vissuti insieme agli scienziati di quaranta nazionalità diverse che ne hanno consentito il successo. Malgrado l’aspetto ripetitivo e sistematico delle ricerche, a bordo di Tara regnava un entusiasmo indistruttibile, alimentato dal sentimento umanista di riscoprire il nostro oceano, di osservarlo in modo diverso per tentare di comprendere il suo ruolo vero e proprio nel nostro spazio vitale che è la Terra.

Questa passione risveglia in noi i nostri sogni d’infanzia, quei sogni di scoperta e di avventura. Si desidera condividerla per dire che è ancora tutto da esplorare, che un futuro invidiabile rimane da disegnare, per convincere che il dado non è tratto, ma il tempo incalza. Bisognerà ormai adattarsi ai cambiamenti climatici, mettere il sostenibile nei nostri piani di sviluppo, trovare nuove fonti di energia, colmare le ineguaglianze tra Nord e Sud rispetto a istruzione e sapere.
Non si tratta di salvare il mondo, ma di contribuire, grazie al lavoro degli scienziati, allo sforzo di ricerca internazionale e di dar vita a un nuovo modo di sviluppare la conoscenza del nostro pianeta oceano. Ciò consentirà un domani, auspicabilmente, di rimettere questo oceano al cuore del mostro modello di sviluppo sostenibile, di proteggerlo mostrandone tutto il potenziale, specie economico, senza timore di dirlo. È proprio questo potenziale che farà pendere l’ago della bilancia verso la sostenibilità delle nostre azioni.

Impegnarsi al fianco di Tara vuol dire essere attori di una mobilitazione per il progresso, vuol dire ancorarsi nella realtà delle sfide ambientali, rialzare la testa per prendere in mano il nostro futuro.

Nel numero speciale del diario dedicato ai nostri «10 anni» (Fare clic qui per vedere la versione francese), abbiamo voluto condividere con voi la visione di alcune delle personalità che hanno tracciato o incrociato la rotta di Tara, con le illustrazioni di Benjamin Flao e le parole del giornalista Michel Temman.
Ma non lasciatevi ingannare, la star del numero è sempre Tara che, a dire il vero, appartiene a tutti, al mondo…

Alla fine, è l’oceano a vincere!

11.10.13

Gli Inuit dell’Alto Artico


A pesca del narvalo con gli Inuit (Pond Inlet, Canada). F.Aurat/Tara Expeditions


Dopo il passaggio dello stretto di Bering, tra la Russia e il continente americano, e gli scali a Tuktoyaktuk, Arctic Bay e infine a Pond Inlet, la spedizione Tara Oceans Polar Circle è entrata in terra inuit. A ogni scalo, la stessa sensazione: in questi tre insediamenti inuit, benché non troppo lontani l'uno dall’altro, l’atmosfera, le infrastrutture, l’organizzazione della vita sono sempre molto diversi. La ragione la si scopre ripassando un po’ la storia di questa regione.


Il popolo degli Inuit (al singolare, inuk) appartengono alla civiltà della foca. Vivono principalmente nella parte ovest dell’alto Artico (Tchoukotka, Alaska, Canada e Groenlandia). È nella Groenlandia che si trova la comunità più grande con 56 000 individui.

A Tuktoyaktuk (Territori del Nord Ovest, Canada), abbiamo visto un insediamento piuttosto moderno con infrastrutture recenti. Tuktoyaktuk, anticamente «Porto Brabant», era in origine una base per i pescatori di balene, vicina allo stretto di Bering e situata alla fine dell’asse stradale, la rotta dei ghiacci*, che parte dal centro del Canada. Tuk è sempre stato un luogo di passaggio all’estremità (o all’inizio) della rotta di nord -ovest e ha quindi beneficiato di relazioni esterne importanti grazie a questa situazione. Durante lo scalo di Tara, l'apertura al mondo esterno era veramente palpabile. Tanto negli adulti quanto nei bambini, si percepiva  un vero e proprio piacere nel vedere i membri di una spedizione. Inoltre Tuk è ben collegata alle grandi città dell’Alaska.

Arctic Bay e Pond Inlet possiedono tutta un’altra storia. A differenza di Tuk, Arctic Bay, ben situata al fondo di Admiralty Inlet è una "creazione" del governo canadese. La grande preoccupazione del Canada è sempre stata quella di marcare la sua presenza nell’Artico e quindi di promuovere il popolamento di queste regioni isolate del Nunavut.

Il primo progetto di reinsediamento degli esquimesi nel Nunavut ha avuto luogo nel 1934, a Pangnirtung, Pond Inlet e Cape Dorset, ma le condizioni di vita molto dure hanno costretto gli abitanti di Pangnirtung ad abbandonare il posto nel 1936. Quelli a Cape Dorset e Pond Inlet sono stati trasferiti verso Arctic Bay. Ecco la differenza rispetto a Tuk: si sente che Arctic Bay è un "impianto". Ma anche là, la vita si è rivelata difficile per via dei nuovi problemi di approvvigionamento. Nel 1947, si registra un nuovo allontanamento della popolazione da Arctic Bay; la politica di reinsediamento obbligato degli eschimesi è uno scacco.

L'idea torna a galla nel 1950. E il 25 luglio 1953 salpa da Port Harrison, Inukkujak, un’altra regione del Canada, la nave ospedale C.D. Howe che trasferì i suoi abitanti a Resolute Bay, Grise Fjord e Arctic Bay.

È a quel periodo che risale il popolamento di questa regione dell’Alto Artico; Arctic Bay è un prodotto di questa politica di colonizzazione a tappe. In questi insediamenti, famiglie e cani sono sopravvissuti per qualche tempo, ma molto spesso i bambini si sono ritrovati soli, con i genitori morti per malattia** o disperazione. Abbandonate alla loro sorte, queste popolazioni sono spesso diventate vittime dell’alcool e dell’ozio.

Da allora, il governo federale ha risarcito le famiglie e sostenuto il tessuto sociale con posti di lavoro finanziati.

A Pond Inlet, a 2500 chilometri da Montréal, si è sviluppato un certo turismo, svincolato dalle spedizioni scientifiche. Ciò consente alla popolazione di crescere grazie ai servizi, cosa che invece non succede a Tuk e Arctic Bay. In generale, sempre più giovani di questi insediamenti dell’Alto Artico vanno a studiare a Iqaluit, la capitale del Nunavut, approfittando delle infrastrutture aeroportuali.

Ora il futuro sembra un po’ meno oscuro; il Nunavut*** è stato riconosciuto terra inuit, e il cambiamento climatico ha portato delle scoperte minerarie importanti. Il 2013 vede l’apertura della miniera di ferro di Mary River, il più grande giacimento a cielo aperto del mondo di questi minerali. L’unica ombra in tutto questo è che la totalità dei minatori impiegati è originaria del New Foundland, a 2500 chilometri di distanza. Al momento, gli Inuit non sono stati convocati.


Vincent Hilaire


*La rotta dei ghiacci collega Tuk con il Canada centrale quando il fiume Mackenzie è gelato 
** La tubercolosi faceva stragi all’epoca.
***Nunavut significa terra nostra in Inuktitut, la lingua degli Inuit.

9.10.13

Verso la Groenlandia


I marinai di Tara alle prese con un vento a 35 nodi. V.Hilaire/Tara Expéditions


Da mercoledì mattina, Tara è diretta a vele spiegate verso la Groenlandia. Con un vento di nord-ovest ben stabile a 60 chilometri orari, procediamo alla velocità di otto nodi e arriveremo in poco più di 24 ore vicino alle coste di questa isola gigante coperta al 95% dal ghiaccio. Romain Troublé, segretario generale di Tara Expéditions, ci ha raggiunto in questa tappa tra il Canada e la Groenlandia.

Dopo la sosta scientifica di martedì lungo le coste della Terra di Baffin, i marinai hanno issato le vele stamattina. La trinchettina davanti, la vela di trinchetto e la vela maestra ridotta tenuto conto del vento. Una manovra che è durata come d’abitudine circa tre quarti d’ora e che, con il vento e il freddo, era tanto vivificante quanto delicata. Il ponte era coperto da uno strato di neve leggermente sciolto, il che rendeva ogni spostamento più difficile. «Bisogna avere i piedi da marinaio e da pattinatore stamani», ci ha avvertito bonariamente Loïc Vallette, il nostro capitano, all’inizio della manovra.

Ieri, l’équipe scientifica ha fatto una pesca straordinaria. La quasi totalità di reti immerse ha riportato a galla una vita ricca e variata. Copepodi a bizzeffe, fanghiglia a diatomee, krill ma anche ctenofori di una misura raramente osservata dall’inizio di Tara Oceans. La pompa biologica del carbonio deve funzionare a pieno regime qui con una simile quantità di microorganismi. Questa lunga sosta aveva come obiettivo campionare a varie profondità le acque fredde dell’Artico e quelle, più calde, dell’Atlantico che si mescolano in questo luogo.

Diretti verso la Groenlandia, trascorriamo una giornata di transizione godendoci una splendida luce e un bel tempo, oltre alla vista di un bellissimo iceberg che prima di ammirare dal vero avevamo individuato con il radar. A questo ritmo la traversata sarà rapida.

Il Mare, o Baia, di Baffin è un vasto golfo aperto sull’Atlantico dal Mare del Labrador e incastonato tra la Groenlandia a est e la Terra di Baffin a ovest. Il Mare di Baffin, così chiamato in onore dell’esploratore britannico William Baffin, è lungo 1500 km e largo 550. Coperto dai ghiacci per gran parte dell’anno, lo attraversiamo prima che si riformi lo strato gelato.

D’altro canto, ognuno dei quattordici membri dell’equipaggio potrà scoprire la costa occidentale di questo paese bianco che ospita i ghiacciai più imponenti del mondo. E questo spiega perché ci sono solamente 56.370 abitanti a Kalaallit Nunaat, così chiamano i groenlandesi la loro terra. La rigidità del clima e l’importanza dell'inslandis, o calotta di ghiaccio, lo rendono uno dei paesi meno densamente abitati al mondo.


Vincent Hilaire 


8.10.13

Oggi Tara ha definitivamente lasciato il Passaggio di Nord-Ovest. Sosta scientifica in corso.

Temperatura dell'aria: -7,5°C.
Temperatura del mare: -0,7°C.

7.10.13

Ultimo scalo nel grande Nord canadese


Caccia al narvalo da parte di un gruppo di inuit. 
F.Aurat/Tara Expeditions

Dal primo pomeriggio di domenica Tara è ormeggiata a Pond Inlet (Nunavut, Canada). Questo insediamento dove vivono circa 3000 inuit è il più grande dei quattro insediamenti canadesi situati a nord del 72esimo parallelo. Abitata perlopiù da inuit, è una delle poche comunità la cui popolazione è aumentata negli ultimi anni. Situato nell’Eclipse Sound, offre una vista impareggiabile su questo maestoso fiordo.



L’avvicinamento via mare a Pond Inlet è stato uno spettacolo meraviglioso. Con i ghiacciai che si protendono nel Navy Board Inlet, le montagne innevate le cui cime hanno le forme più svariate, gli iceberg scolpiti, e in mezzo a tutto questo delle grandi macchie di colore ocre e marrone di tundra artica. Che bel paese il Canada e questa regione del Nunavut in cui gironzoliamo da dieci giorni a bordo di Tara!

Appena sbarcati dal gommone che ci ha condotto sulle rive di «Pond», assistiamo a una scena di altri tempi. Su una collinetta che sovrasta la spiaggia dove siamo sbarcati, un inuit taglia a fette della carne di narvalo congelata per darla ai suoi cani che non abbaiano più ma ululano per l’eccitazione. È l’ora del “lauto” pasto. I tre figli dell’uomo giocano a poca distanza, osservando anch’essi questa scena per loro consueta.

La domenica, a Pond Inlet, si taglia a fette la carne di narvalo per i cani mentre i bambini stanno a giocare. La realtà, a Pond, è che bisogna ancora cavarsela da soli per sopravvivere. Per quanto tempo ancora? I supermercati si trovano ben distribuiti anche in queste regioni remote dove le banane crescono soltanto sugli scaffali!

Quello che ci colpisce è la calma che regna in questi luoghi. È domenica, certo, ma questa comunità è più estesa e popolata di Tuk e Arctic Bay, i nostri due scali canadesi precedenti. C’è una sola via principale, gli incontri sono scarsi e quando hanno luogo sono spontanei e calorosi, nonostante il freddo che dissuaderebbe a uscire  persino un caribù.

Un aeroporto, un grande supermercato, una cooperativa, un centro culturale, un hotel, Pond Inlet è già una destinazione turistica in pieno sviluppo. Per poter sopravvivere qui si dovrà abbandonare a poco a poco la caccia e la pesca di sussistenza se ci si vuole pagare la televisione e gli alimenti congelati, e la steak di narvalo, la bistecca del posto, verrà riservata per i giorni di festa! La pesca del narvalo diventerà allora un’attività riservata ai turisti...
Dopo decenni di sopravvivenza, la maggior parte degli inuit desidera avere un po’ di comfort e comodità, e
poter tirar fuori la bistecca di narvalo dal congelatore dopo averla “pescata” nel supermercato…

Dopo Pond Inlet, a soli 2500 km da Montréal, partiremo alla volta del fiordo eponimico per raggiungere il Mare di Baffin e poi la Groenlandia.

Tara ritorna a latitudini più meridionali, la parte più settentrionale della spedizione Tara Oceans Polar Circle è ormai dietro di noi.


Vincent Hilaire

6.10.13

Pond Inlet in vista!


Una cattedrale di ghiaccio sulla rotta di Pond Inlet. V.Hilaire/Tara Expéditions




Dopo aver lasciato Arctic Bay e Admiralty Inlet, Tara e i tredici a bordo fanno rotta verso Pond Inlet. Per uscire dalla baia di Admiralty, dopo una prima sosta scientifica in un fiordo vicino per studiare le larve di merluzzo artico, è stato necessario attraversare una zona piena zeppa di ghiacci nella notte successiva alla nostra partenza. Tara è poi arrivata nel Lancaster Sound. Siamo a pochi chilometri da Pond Inlet che raggiungeremo dopo un’ultima sosta a Eclipse Sound.



Eclipse Sound: un nome che calza a pennello questo luogo, giacché la sua bellezza eclissa gran parte delle meraviglie viste finora. Da Arctic Bay continuiamo a beneficiare di un anticiclone stabile e ben installato. Il sole è un appuntamento fisso quotidiano ma ahimè le temperature sono piuttosto fredde. Il termometro è precipitato nei giorni scorsi a -7°C , senza tener conto del vento.

È a causa di questi parametri meteorologici registrati nella prima notte dopo la nostra partenza da Arctic Bay che abbiamo dovuto attraversare due ingorghi di ghiacci. Si era sollevato un vento di nord-ovest molto forte che ha portato qui, in questa insenatura, molto ghiaccio giovane, già molto denso, perlopiù grandi “pancake” che gradualmente si sono stretti l’uno contro l’altro. Ad un certo punto ci siamo trovati davanti a un “pancake” gigante mentre a poche centinaia di metri a sinistra vedevamo il mare aperto.

Marcia avanti e marcia indietro... abbiamo dovuto far ronzare un po’ “Brigitte” e “Teresa”, i due motori di Tara e i loro 700 cavalli per uscire da questa trappola bianca, fattasi invisibile nella notte nera. Intanto il vento era cresciuto e poco a poco siamo ritornati, nostro malgrado, nel pack in prossimità della costa; la morsa bianca sembrava volerci tenere con sé...

Ancora una volta Tara si è comportata bene, e ciò ha rasserenato la maggior parte dell’equipaggio  che si era svegliato per il rumore dei motori: “sembrava un aeroplano sulla pista pronto a decollare”, qualcuno mi ha detto.

Il giorno dopo, prima di entrare nel Navy Board Inlet, dopo una notte trascorsa agli ormeggi,  abbiamo visto nel Lancaster Sound vari iceberg dalle forme molto scultoree Questa parte del viaggio mi ha ricordato la Patagonia e i suoi canali, con i ghiacciai che si gettano in mare, le miscele di colore blu, marrone, bianco e nero, ma non il verde, quello della vegetazione. La tundra artica qui si estende a perdita d’occhio tra due montagne.

Sulla nostra rotta, anche l’incredibile iceberg tabulare con un arco simile a un Titanic blu gelato, circondato da un cielo color arancio e antracite, un luogo da “Cinemascope” che avrebbe potuto essere catturato dalla cinepresa dello stesso James Cameron.

Questa domenica mattina Pond Inlet è a prua. Il tempo, sempre luminoso e freddo. Il mare di Baffin è a poche miglia, e davanti a noi, una volta che l’avremo traversato, la Groenlandia.

Per me sarà ancora una volta una grande prima visione…


Vincent Hilaire

3.10.13

Scalo ad Artic Bay



Tara ormeggiata ad Arctic Bay (Nunavut). F.Aurat/Tara Expéditions




Dal tardo pomeriggio di martedì Tara è ormeggiata nella baia che accoglie un insediamento inuit dove si respira un’atmosfera completamente diversa da quella di Tuktoyaktuk nei Territori del Nord-Ovest, in Canada. I suoi 800 abitanti sono molto più distanti e riservati.



Dopo un giorno e mezzo di scalo, ripartiamo con l’obiettivo di realizzare tre soste scientifiche da qui a Pond Inlet, sempre nel Nunavut canadese, luogo in cui ci fermeremo dopo e che dista 200 miglia nautiche circa.

Dopo aver osservato un’aurora boreale superba poco dopo il nostro arrivo martedì sera - non se ne vedevano di così maestose da 14 anni, secondo quanto ci dicono gli abitanti* del posto -, oggi siamo riusciti a visitare Artic Bay. Un piccolo villaggio di case di legno, tutte ben allineate e ben protette da un magnifico cerchio di montagne, in fondo a un’ampia baia.

Nel percorrere la via principale, sin dai nostri primi passi, l’accoglienza è stata calorosa con regolari cenni della mano, ma l’atmosfera che si respirava non aveva nulla a che vedere con quella di Tuktoyaktuk.

Avevamo l’impressione di trovarci in un luogo ancora più fuori dal tempo, più isolato. Senza farne una questione di ego, qui non abbiamo suscitato la stessa curiosità. I rari inuit che ci hanno incrociato su una moto Quad o a piedi, lo facevano piuttosto per venderci qualcosa, del pesce o dell’avorio di tricheco, tra le altre cose.

Un po’ ovunque la stessa timidezza, i nostri obiettivi e le nostre domande parevano infastidire molto rapidamente i nostri interlocutori. Poi, poco a poco, dopo la visita all’ “Hamlet office”** (il municipio dell’insediamento), gli inuit di Artic Bay hanno capito che non eravamo là per turismo o per la caccia all’orso che qui viene praticata.

A parte i balli per sgranchirsi le gambe, la visita alla scuola di Artic Bay con la presentazione scientifica della spedizione Tara Oceans Polar Circle è sicuramente stata il momento culminante di questo scalo. Di fronte a un auditorio di adolescenti dell’insediamento e sotto l’occhio vigile dei loro professori, Emmanuel Boss, al momento ingegnere ottico a bordo di Tara, ha spiegato per mezzora lo scopo della nostra spedizione e il motivo della nostra presenza ad Artic Bay.

Nella tranquilla quotidianità di questa baia inuit, dove ancora si pratica la caccia della foca e dell’orso, qualcuno scopre così l’esistenza del plancton che sta all’origine della nostra vita.


Vincent Hilaire


*Le aurore boreali sono provocate dall’interazione tra le particelle cariche di vento solare e l’alta atmosfera. L’attività solare di questo martedì sera era particolarmente importante.

**Hamlet office: il municipio dell’insediamento inuit

1.10.13

In rotta verso Artic Bay


F.Aurat/Tara Expéditions



Dopo la sosta scientifica nel Lancaster Sound conclusasi ieri a inizio serata, Tara ha ripreso la propria rotta nella notte tra lunedì e martedì verso Artic Bay, un villaggio inuit canadese. Prima di questo nuovo scalo, l’équipe scientifica procederà oggi a nuove operazioni di messa in acqua nel fiordo che porta al paese di 700 abitanti. L’anticiclone insediatosi nella zona ci consente di godere di condizioni climatiche molto gradevoli per questo inizio di ottobre, ma anche di notti molto fredde. Rimaniamo all’erta per evitare di rimanere intrappolati nel ghiaccio dei fiordi che visiteremo nei prossimi giorni.


Nonostante il sole generoso, la sosta di prelievi nel suntuoso Lancaster Sound è iniziata male. Prima, il congelamento di alcune pompe durante la notte ha costretto i biologi Céline Dimier-Hugueney e Julie Poulain, incaricati del pompaggio e della filtraizone dell’acqua di mare, a inaffiarle di acqua calda. Poi, durante la risalita del Régent*, le cose si sono volte al peggio. Con una rollata, il marinaio che era all’argano è scivolato e non ha potuto fermare la rete nella sua corsa ascendente. Con un rumore sordo e pesante, il cavo a cui era appeso il Régent si è rotto. Incidente che ha comportato la perdita della rete e dello scanmar**.

Il colpo è stato accusato dai presenti sul ponte posteriore che si sono scuriti in volto, ma come sempre a bordo di Tara il buon umore e l’azione hanno preso il sopravvento. È in momenti come questi che l’equipaggio dà il meglio di sé. In quell'infelice momento che, per fortuna,  ha comportato solo perdite materiali, il marinaio ha ricevuto il sostegno  morale di tutti.

Oggi, al risveglio, l’episodio di ieri era già lontano, specie dopo una notte molto movimentata per via di un passaggio ventoso, e ci attendeva un altro evento spettacolare: l’incontro con un iceberg tabulare, che pareva tagliato alla roncola. I quindici membri dell’equipaggio erano tutti sul ponte e i marinai a far manovra per avvicinare Tara, senza rischi, al gigante d’acqua dolce.

Dopo il Lancaster Sound, è la volta della baia di Admiralty Inlet che ci sorprende e incanta con i suoi paesaggi di montagne innevate digradanti sul mare. Sfilano su entrambi i lati della timoneria come in un film.

Stasera arriveremo ad Artic Bay il cui nome originale in inuktitut, la lingua degli Inuit, significa sacca o cavità. Il nome Artic risale al 1872 quando la baleniera eponima ha attraccato qui un giorno, molti anni dopo l’arrivo dei primi Inuit giunti qui a piedi dall’Asia passando per lo stretto di Bering…


Vincent Hilaire

* Régent: rete di grandi dimensioni per la cattura del plancton

** Scanmar: apparecchiatura oceanografica che consente di conoscere la profondità marina in cui si trova lo strumento immerso

Prossime tappe



- Ilulissat (Groenlandia) 16-20 ottobre

- Québec (Canada) 10-16 novembre

- St Pierre-et-Miquelon 20- 24 novembre

- Ritorno a Lorient 6 dicembre