10.12.13

Tara rientra a Lorient, evitato il peggio

di Dino Di Meo, 6 dicembre 2013, alle 19,08.


Sabato 7 dicembre Tara è rientrata a Lorient carica di campioni scientifici. La goletta, che ha navigato attorno al Polo Nord per più di sei mesi, ha rischiato di rimanere intrappolata tra i ghiacci.


Tara nell'arcipelago di Francesco Giuseppe (Foto: A.Deniaud. TaraExpeditions)

Partita il 19 maggio 2013 da Lorient, comune francese del dipartimento del Morbihan, la goletta scientifica Tara ha fatto ritorno sabato in serata al suo porto di origine dopo un periplo di sei mesi e mezzo. Dodici giorni dopo aver lasciato Saint Pierre e Miquelon, ultima tappa prima di “attaccare” l’Atlantico settentrionale, i dodici componenti dell’equipaggio hanno finalmente avvistato le coste di Finistère venerdì al sorgere del sole. Dopo un ultimo prelevamento di campioni di plancton previsto nel Mer d’Iroise, Tara ha subito puntato verso sud e il passaggio marittimo del Raz de Sein per sfrecciare su un mare finalmente calmo verso l’isola di Groix, e infine a Lorient.

A bordo, la routine è quella tipica della fine di un tratto di spedizione. Il capitano Martin Hertau ha assegnato a ognuno un compito molto preciso. Pulizie di primavera in autunno: l’imbarcazione viene messa sottosopra, pulita a fondo fino a farla brillare e infine rimessa in ordine. Fuori, i pantaloni e gli abiti usati per i turni di guardia si seccano al sole dopo essere stati lavati. Sembra che a bordo sia stato fatto un gigantesco bucato. L'île de Sein appare magnifica nella luce del mattino. Le macchine fotografiche vengono finalmente tirate fuori per immortalare l’oceano. La terra è là, ci tende il braccio. Ancora una notte a bordo e poi si concluderà un periplo che a qualcuno deve essere sembrato interminabile. Il buon umore sotto il sole ha ridato a tutti la voglia di darsi da fare. Domani a Groix, quando salirà a bordo Agnes b, armatore di Tara con il figlio Etienne Bourgois, tutto sarà a posto, pronto per la parata prevista a Lorient. Il sindaco ha fatto coincidere l’arrivo dell’imbarcazione con l’inaugurazione dell’illuminazione natalizia. Il materiale che verrà imbarcato a Groix un’ora prima promette di essere pittoresco. L’entrata nel porto turistico e l’approdo alle 18.30 al pontile d’onore della goletta di 36 metri sono stati calcolati al minuto. Gli scienziati e i marinai che si sono dati il turno in questa circumnavigazione saranno sul pontile ad accogliere quest’ultimo gruppo con la soddisfazione di essere riusciti nella missione "Tara Oceans Polar Circle".

Diversamente dalla precedente spedizione "Tara Oceans", questa volta è la goletta a portare tutti i campioni raccolti attorno al polo. Anche se i grandi prelevamenti sono terminati dopo la tappa a Québec di metà novembre, i sofisticati strumenti messi a disposizione da Marc Picheral del CNRS di Villefranche sur Mer, nelle Alpi Marittime francesi, e monitorati dall’ingegnere oceanografico Fabien Pèrault, imbarcatosi per la traversata atlantica di ritorno, hanno continuato a registrare i dati dell’acqua prelevata, contando e fotografando ogni organismo planctonico che passa nel flusso d’acqua pompato all’interno del FlowCam. Durante tutta la traversata dell’Atlantico settentrionale, ognuno si è turnato per verificare a ogni ora il buon funzionamento dei congelatori e dei vari frigoriferi di stoccaggio. Era in gioco la sopravvivenza di 5000 campioni prelevati durante questo tour del Polo Nord. Tara ha traversato l’Atlantico settentrionale con tutto il suo tesoro scientifico nella stiva anteriore. «In caso di problemi, non esitate a svuotare il congelatore del cibo per sostituirne il contenuto con i campioni», esorta Daniel Cron, capo meccanico che si trova a bordo da tre mesi. «Abbiamo tutto quello che è stato raccolto da Tromsø, in Norvegia, fino alla Groenlandia».


MOTORI A PIENO REGIME

Se sul versante scientifico tutto si è svolto senza problemi, non si può certo dire che i 25 mila chilometri percorsi attorno alla banchisa siano stati una passeggiata. Biologi e oceanografi volevano fare le loro ricerche sul limitare della banchisa, là dove l’attività planctonica è più importante ma, per farlo, è stato necessario giostrarsi tra il programma e una fusione della banchisa meno forte rispetto all’anno scorso. Percorrere il Passaggio di Nord-Est e poi quello di Nord-Ovest dunque è stata una vera e propria corsa contro il tempo.

La prima prova è consistita nel doppiare lo stretto situato a nord della Russia. Nicolas de la Brosse, uno degli ufficiali di coperta, ricorda quei momenti di inizio estate. «Il programma era molto fitto e bisognava fare presto», racconta. «Il primo tentativo è fallito perché c’era molta foschia. Inutile arrampicarsi sull’albero per vedere la rotta da intraprendere. Eravamo bloccati dal ghiaccio spessissimo. È stato necessario liberarsi velocemente per ritornare al più presto nelle acque libere. Abbiamo passato quasi una settimana ormeggiati». Il rompighiaccio Yamal si trovava a un miglio (1,8 km), ma faceva orecchie da mercante. «Non ci hanno mai risposto e si sono persino allontanati da noi», prosegue de la Brosse. «A bordo era dura. Avevamo due soluzioni: o rientrare a Lorient e abbandonare la spedizione o fare almeno un tentativo. Gli scienziati non riuscivano a decidersi sul da farsi. Poi è arrivata una mappa dei ghiacci via satellite più ottimista. Si è dovuto motivare di nuovo tutto l’equipaggio. Alla fine siamo passati, ma il passaggio si è chiuso dietro di noi».

L’altro passaggio situato sulla costa canadese rischiava di essere altrettanto delicato da superare. «Otto giorni dopo il passaggio di Nord-Ovest abbiamo visto che la nuova banchisa cominciava a riformarsi», spiega il capitano Martin Hertau. «Abbiamo dovuto sospendere tutte le stazioni per una settimana. Navigavamo con il vento contrario avvolti dalla foschia. Non si vedeva niente». Frattanto Romain Troublé, presidente di Tara expéditions, aveva avvertito le autorità canadesi che Tara avrebbe proseguito comunque. «Il rompighiaccio Louis Saint Laurent si trovava nei paraggi. Ci ha chiamato in VHF [NdR: la banda di frequenze radio ultra alte] per dirci che sarebbe venuto a scortarci. Abbiamo percorso 50 miglia [90 km circa] in sette ore». La situazione avrebbe potuto complicarsi immediatamente dopo lo scalo ad Artic Bay quando è stato necessario far sbarcare Jean-Claude Gascard, uno degli scienziati della spedizione. Baptiste Régnier, l’ufficiale in Seconda, conferma: «Il ghiaccio si riformava rapidamente, ma non essendo ancora molto spesso, ci siamo potuti aprire un varco azionando i motori a pieno regime, raggiungendo così le acque libere per fare poi rotta verso la Groenlandia».


RESTI DI BANCHISA

Qualche settimana più tardi, l’arrivo a Ilulissat, in Groenlandia, è stato davvero spettacolare. È là che il ghiacciaio Sermeq Kujalleq si riversa in mare a un ritmo di 40 metri al giorno. Daniel Cron, capo meccanico, racconta l’arrivo di notte: «A qualche miglia dal porto, eravamo in mezzo a dei resti di banchisa, molto densi, di dimensioni gigantesche, a volte fino a 50 metri di altezza. Abbiamo dovuto avanzare un po’ a zig- zig per avvicinarci perché c’era del ghiaccio dietro la diga».

La traversata fino a Quèbec non è stata affatto riposante, ma piuttosto movimentata, specialmente per via di un’onda più grossa delle altre che è andata a infrangersi sull’imbarcazione trasversalmente. Tutto è crollato. Dall’enorme microscopio al piccolo frigo del quadrato. Più paura che male anche se l’entrata nel golfo del San Lorenzo e l’arrivo a Saint Pierre e Miquelon non sono stati assolutamente facili. L’imbarcazione ha subito ripreso la sua rotta verso Lorient con una traversata atlantica che si è rivelata assai clemente per quest’epoca dell’anno. Tutto sommato, niente di nuovo per gli habitué. Gli altri invece hanno dovuto imparare in fretta a mangiare con una sola mano tenendo fermo il bicchiere con l’altra per evitare che si rovesci. Finalmente, nel giro di ventiquattr’ore, mettiamo di nuovo piede sulla terraferma.

Tara può ora rivelare i suoi segreti e andare a rimettersi in sesto prima della prossima campagna nel Mediterraneo in primavera.



Articolo di Dino Di Meo pubblicato su Liberation
Traduzione: Paola Buoso